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Gianpiero Bologna (Foto Costanza Bono)
Dall’articolo
di Paola Scola su “La Stampa“ del 30 maggio 2016
Un museo alpino dedicato allo zio disperso in
Russia
Ormea, il nipote lo ha
realizzato nella vecchia osteria di famiglia
Nel
1956 il papà di Mario Bologna, Avellino, classe 1881, conducente del I Alpini
nella Grande guerra, fa testamento. Divide i suoi beni fra i figli, riservandone
una quota anche per il suo Mario, «quando sarebbe tornato». Spera fino
all’ultimo di rivederlo, come tanti padri e madri di giovani mandati a
combattere in Russia. Ma l’alpino Mario, 24 anni, di Ormea, dal gelo del Don
non rientrerà mai in valle Tanaro. L’ultimo lembo di terra, prima della
Liguria, di quella provincia Granda che sul fronte russo ha sacrificato decine
di migliaia di militari, poco più che ragazzi. La sua famiglia, però, non l’ha
mai dimenticato.
E il nipote Gianpiero ha dedicato la vita a creare un museo,
dentro casa, per rendere omaggio alle penne nere, raccogliendo cimeli, foto,
documenti. Compreso quel testamento, pieno di speranza, di papà Avellino.
All’ingresso c’è scritto che tutto è «in ricordo di zio Mario», ma anche una
dedica: «La montagna piange, il vento accarezza, la terra ricorda».
Ieri,
come ogni domenica pomeriggio, Gianpiero Bologna ha accompagnato i visitatori
(ne sono arrivati anche da Emilia e Vicentino). Il museo alpino (a ingresso
gratuito) è entrato a far parte del piccolo «circuito espositivo» del paese, ma
lì la guida è rigorosamente lui. È la sua «missione». «Quando, anni fa, ho
ereditato i locali della vecchia osteria di famiglia - racconta -, ho capito
che era arrivato il momento di far conoscere a tutti la storia e il sacrificio
di zio Mario. Ho ritrovato un baule con tanti documenti ed è iniziata
l’esposizione».
Con
un allestimento semplice, ma realizzato con la forza del cuore, ci sono
cappelli, divise, equipaggiamenti, lettere, documenti, foto, libri. Bologna:
«Appena ho qualche risparmio compro altri cimeli e tanti me ne arrivano. Al
punto che penso di ampliare il museo. Una cosa è sicura: continuerò finché
riuscirò».
Oltre
al testamento del papà di Mario, il reperto a cui Gianpiero è più affezionato è
«la foto di zio». Atteso invano, nonostante nel marzo ’46 - come scrive Tullio
Pagliana nel suo recente libro sui soldati della vallata - il ministero della
Guerra avesse trasmesso al Comune di Ormea l’attestato della scomparsa di
Mario, probabilmente nei combattimenti del gennaio 1943. Bologna ha anche
esposto una lettera dello zio, scritta alla sorella Pierina il 7 novembre ’42:
«Speriamo che presto sia alla fine anche la Russia e ritornare presto con voi
tutti». Legge quelle righe e ancora si commuove.
«Gianpiero
dà l’anima per questo museo - rimarca Giorgio Ferraris, sindaco e studioso di
vicende degli alpini -, che è un importante scrigno di storia e memorie. Di
particolare pregio c’è un paio di valenki, i calzari russi di feltro trattato
che hanno salvato dal congelamento tanti soldati».
Bologna
ricorda lo zio Mario lì, raccontandolo a tante persone. Un modo per sentirsi
vicino anche a tutti quei giovani rimasti, senza sepoltura, nella steppa
russa.
Gianpiero Bologna (Foto Costanza Bono)
Dall’articolo
di Paola Scola su “La Stampa“ del 30 maggio 2016
Un museo alpino dedicato allo zio disperso in
Russia
Ormea, il nipote lo ha
realizzato nella vecchia osteria di famiglia
Nel
1956 il papà di Mario Bologna, Avellino, classe 1881, conducente del I Alpini
nella Grande guerra, fa testamento. Divide i suoi beni fra i figli, riservandone
una quota anche per il suo Mario, «quando sarebbe tornato». Spera fino
all’ultimo di rivederlo, come tanti padri e madri di giovani mandati a
combattere in Russia. Ma l’alpino Mario, 24 anni, di Ormea, dal gelo del Don
non rientrerà mai in valle Tanaro. L’ultimo lembo di terra, prima della
Liguria, di quella provincia Granda che sul fronte russo ha sacrificato decine
di migliaia di militari, poco più che ragazzi. La sua famiglia, però, non l’ha
mai dimenticato.
E il nipote Gianpiero ha dedicato la vita a creare un museo,
dentro casa, per rendere omaggio alle penne nere, raccogliendo cimeli, foto,
documenti. Compreso quel testamento, pieno di speranza, di papà Avellino.
All’ingresso c’è scritto che tutto è «in ricordo di zio Mario», ma anche una
dedica: «La montagna piange, il vento accarezza, la terra ricorda».
Ieri,
come ogni domenica pomeriggio, Gianpiero Bologna ha accompagnato i visitatori
(ne sono arrivati anche da Emilia e Vicentino). Il museo alpino (a ingresso
gratuito) è entrato a far parte del piccolo «circuito espositivo» del paese, ma
lì la guida è rigorosamente lui. È la sua «missione». «Quando, anni fa, ho
ereditato i locali della vecchia osteria di famiglia - racconta -, ho capito
che era arrivato il momento di far conoscere a tutti la storia e il sacrificio
di zio Mario. Ho ritrovato un baule con tanti documenti ed è iniziata
l’esposizione».
Con
un allestimento semplice, ma realizzato con la forza del cuore, ci sono
cappelli, divise, equipaggiamenti, lettere, documenti, foto, libri. Bologna:
«Appena ho qualche risparmio compro altri cimeli e tanti me ne arrivano. Al
punto che penso di ampliare il museo. Una cosa è sicura: continuerò finché
riuscirò».
Oltre
al testamento del papà di Mario, il reperto a cui Gianpiero è più affezionato è
«la foto di zio». Atteso invano, nonostante nel marzo ’46 - come scrive Tullio
Pagliana nel suo recente libro sui soldati della vallata - il ministero della
Guerra avesse trasmesso al Comune di Ormea l’attestato della scomparsa di
Mario, probabilmente nei combattimenti del gennaio 1943. Bologna ha anche
esposto una lettera dello zio, scritta alla sorella Pierina il 7 novembre ’42:
«Speriamo che presto sia alla fine anche la Russia e ritornare presto con voi
tutti». Legge quelle righe e ancora si commuove.
«Gianpiero
dà l’anima per questo museo - rimarca Giorgio Ferraris, sindaco e studioso di
vicende degli alpini -, che è un importante scrigno di storia e memorie. Di
particolare pregio c’è un paio di valenki, i calzari russi di feltro trattato
che hanno salvato dal congelamento tanti soldati».
Bologna
ricorda lo zio Mario lì, raccontandolo a tante persone. Un modo per sentirsi
vicino anche a tutti quei giovani rimasti, senza sepoltura, nella steppa
russa.
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